“Dopo il figlio, il silenzio”: il difficile ritorno al lavoro per molte donne

“Dopo il figlio, il silenzio”: il difficile ritorno al lavoro per molte donne

Per molte donne, diventare madre è un momento di svolta profondo, personale e trasformativo. Ma troppo spesso questa esperienza si accompagna a un’altra trasformazione, meno raccontata e molto più dolorosa: l’uscita, spesso forzata e silenziosa, dal mondo del lavoro.

Il prima e il dopo

C’è un prima fatto di corse, riunioni, formazione, ambizioni.
E poi c’è un dopo fatto di pannolini, notti insonni, orari impossibili e senso di colpa.
In mezzo, ci sono spesso contratti precari, mancanza di tutele, assenza di flessibilità, e una società che fatica a sostenere chi sceglie di diventare genitore, soprattutto se è donna.

Per molte, il congedo di maternità si trasforma – senza che nessuno lo dica apertamente – in un punto di non ritorno. Al rientro, trovano un ambiente cambiato. O peggio: non trovano più nulla.

“Dopo aver avuto mio figlio, non mi hanno rinnovato il contratto. Mi hanno ringraziato con un sorriso, ma era chiaro che non c’era più spazio per me.”

Invisibili e scoraggiate

Secondo i dati ISTAT, una donna su cinque lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Spesso si tratta di una “scelta” imposta da fattori strutturali: mancanza di servizi per l’infanzia accessibili, orari incompatibili con la vita familiare, o un clima aziendale poco accogliente verso chi ha nuove esigenze.

Queste donne diventano invisibili: non iscritte nelle liste di disoccupazione, non cercatrici attive di lavoro, spesso bloccate da anni di inattività che pesano come una colpa nei colloqui. Il loro curriculum viene letto come “vuoto”, quando in realtà è pieno di competenze invisibili: gestione del tempo, problem solving, empatia, forza.

Il ritorno è possibile. Ma serve un ponte.

Reinserirsi è possibile, ma non è semplice. Servono percorsi di formazione pensati per chi rientra, con orari flessibili, moduli personalizzati, tutoraggio. Serve un contesto che non giudichi, ma che valorizzi l’esperienza della maternità come risorsa. Serve anche un cambiamento culturale: nelle imprese, nei servizi, nel linguaggio.

Noi, come impresa sociale, incontriamo spesso queste storie. Donne che si presentano con un misto di timidezza e determinazione. Che si scusano per “aver perso tempo”, quando in realtà hanno dato vita, cresciuto, lottato in silenzio.

Nei nostri laboratori, nei percorsi formativi e nei tirocini, proviamo a costruire ponti: tra quello che erano e quello che possono tornare a essere. Offriamo tempo, ascolto, strumenti. Ma soprattutto, diamo fiducia.

Perché ogni donna ha il diritto di non dover scegliere tra essere madre ed essere lavoratrice. E ogni società ha il dovere di non lasciarle sole nel momento in cui avrebbero più bisogno di essere sostenute.